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Gli artigiani della scrittura

Nello scrivere si possono riconoscere i gesti di un artigiano: anche la scrittura e il componimento richiedono doti di costanza, sacrificio, volontà, desiderio di mostrare qualcosa; l’arte della narrazione e della poesia necessitano di applicazione per migliorare le capacità utilizzando gli strumenti appropriati, proprio come gli artigiani comunemente intesi. E per diventare artigiani stimati ci vuole appunto estro, passione e tempo. Ognuno di noi aspira a creare qualcosa di bello e giusto, convincente, condivisibile, qualcosa di caro e di significativo e accarezza magari il sogno di diventare uno scrittore o un poeta noto, figura di riferimento come tante nella nostra e nella altrui cultura in ogni tempo.

È giusto che sia così. Non bisogna mai dimenticare che le nostre potenzialità sono infinite e solo la nostra mancanza di volontà può limitarle o mortificarle. Ognuno di noi è qualcosa in fieri, qualcosa destinato a modificare nel tempo, a crescere e raggiungere forme che molte volte non sono nemmeno prevedibili: si pensa di essere fatti in un certo modo e di essere figli del destino, e poi la vita ci offre inaspettate sorprese e fa di noi ciò che nessuno mai avrebbe potuto prevedere. Spesso siamo delle semplici vittime, dobbiamo piegarci a ciò che non ci piace, ma esistono spazi che se si ha la forza di riconoscerli e apprezzarli possono ammaliarci, aprendoci a soluzioni ardite e imprevedibili. Siamo artigiani di noi stesi.

Gli artigiani della scrittura e della poesia sono impegnati ad assolvere il compito fondamentale di offrirci gli strumenti da loro ritenuti i più idonei per interpretare il mondo, per usare gli occhi, per soffermarci a godere di certe emozioni, per insegnarci a distinguere tra i diversi toni di grigio, per non restare accecati dal primo falso raggio di sole, per insegnarci il senso del rispetto. Ma anche per rendere libera la nostra immaginazione, per salvarla a dispetto della pigrizia e dell’ovvietà sempre pronte a ghermirla.

Personalmente ho trovato nella lettura uno strumento per fare di me un artigiano del mio stesso cervello: ciò che non capisco somiglia a una sfida che non riesco ad affrontare senza l’assistenza di coloro che mi possono aiutare a comprendere; ciò che so l’ho conosciuto in gran parte sui libri, cominciando da quelli che mi regalava mia madre, incredula di questo figlio che di aritmetica non ne capiva proprio niente e di geografia ancora meno, ma che era così dedito alla lettura da preferire di star chiuso in casa seduto sul letto a leggere cose all’apparenza così complicate per un ragazzino.

Grazie anche alle letture giovanili ho imparato a guardarmi attorno e ancora oggi continuo a chiarire con la lettura il senso delle mie scelte, che continuo a trovare gli strumenti per non distogliere l’attenzione dal mondo che mi circonda, per comprendere le ragioni del diffuso disagio, del male che lo pervade. È nel sapere che deriva dai libri, da tutti i libri, anche da quelli che nel passato ho ritenuto frettolosamente e incomprensibilmente noiosi e che oggi riscopro.

Perché i poeti scrivono, perché si crea narrativa? Certamente per liberare una espressività che viene da una dote naturale che induce ad affrontare il foglio bianco, a cercare versi, limare le frasi e le parole. Quali sono le ragioni per le quali si scrive? È successo poi un pomeriggio che, ingannando con questi pensieri la tediosità di un viaggio in autobus, mi è venuto in mente di rovesciare la questione, e così la domanda è diventata: ma perché io leggo, cos’è che mi piace nel riconoscermi come un lettore. Il libro intorno a me ci deve essere sempre e talvolta succede anche che mi affeziono a un libro, anzi sono uno di quelli che ciò che legge lo ricorda molto bene e certe volte il mio più grande piacere è riprendere in mano un libro e rintracciare nelle pagine, apparentemente tutte uguali, ciò che so di trovare in un certo punto: un poco più avanti, qualche pagina indietro, ma alla fine ritrovare quel che ho già letto anche più volte, mi suscita un piacevole sentimento. Quindi, dicevo, piuttosto che addentrarmi sulle ragioni degli altri, in modo più pratico mi sono concentrato sulle mie personali ragioni, chiedendomi cosa cerco leggendo un libro, interrogandomi sul cos’è che crea la mia infatuazione: il titolo, la copertina, le dimensioni, la carta, il carattere tipografico certo hanno la loro funzione, ma cos’è del contenuto che mi attrae fatalmente. E mentre mi dedicavo a dipanare risposte a questi quesiti, ho incontrato proprio in un libro la risposta più bella, la più adatta e la più vera di tutte, quella che mi è piaciuta persino più delle mie stesse risposte, quella della quale mi sono innamorato. Cioè la risposta ai miei ragionamenti di lettore, stupendo assurdo, mi è stata fornita da uno scrittore. E devo riportarla integralmente perché meglio di così non potrei raccontarvela: eccola, è a pagina 16 di questo prezioso libricino e arriva senza alcuna anticipazione; l’ho letta ormai non so più quante volte e mi lascia affascinato e commosso come fosse la prima: “Il libraio” di Regis de Sà Moreira.

Il libraio passeggiò lungo gli scaffali della libreria.

Prese a caso un libro da un ripiano.

Andò alla prima pagina, iniziò a leggere e sorrise.

Voltò pagina, continuò, si lasciò scivolare contro lo scafale fino a sedersi per terra. Il suo sorriso si allargò.

Eppure non era un libro divertente, anzi, ma quello era l’effetto che i libri facevano al libraio, ed era anche il motivo per il quale era diventato libraio.

Non appena apriva un libro, si sentiva felice.

O, per lo meno, si sentiva bene.

Era quasi una gioia infantile.

Ma anche una debolezza.

Aveva l’impressione che qualcuno si occupasse di lui, che qualcuno si prendesse cura di lui.

Per dirla tutta, quando il libraio leggeva un libro aveva l’impressione di essere amato.

Gli artigiani della scrittura
Presentazione nella home page curata da Ettore Peluffo

Sociologo, Scrittore, Presidente di Giuria in Premi Letterari